Replying to La vecchia di Via Cognini - prima parte

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  1. Posted 26/7/2014, 18:50
    E' molto bella, non c'è che dire. Davvero bella. Spero solo che la continui presto, sebbene fossero già passati alcuni mesi.
  2. Posted 19/2/2014, 14:20
    "Vecchia strega, vecchia strega!!" gridarono i bambini in coro, lanciando bastoni e arance verso l'anziana signora che se ne stava china sulla sua terra, con le mani impastate di fango, mentre urlava verso di loro. Gracile e al contempo forte, affondava le ginocchia nodose nell'erba bagnata, imprecando e portandosi le mani nere verso il volto rabbioso. Non sa se aveva immaginato tutto o meno, perché quando scostò le mani dal viso e riaprì gli occhi, i bambini erano scomparsi. Nella fatica di rialzarsi, appurò con amarezza che attorno a lei giacevano arance marce e rami secchi. Con un nodo che le stringeva la gola, rientrò in casa, facendosi largo tra sacchi di terra e legna accatastata qua e là nel piccolo giardino sul retro. Le campanelle dello scacciapensieri che aveva appeso alla porta anni addietro, suonarono armonicamente mentre attraversava l'uscio e si richiudeva la porta alle spalle, con un cigolio. Quella che un tempo era stata una cucina linda e calorosa, adesso si presentava come una stanzina buia e affollata di scatoloni, impilati l'uno sull'altro e sistemati senza un ordine preciso tutt'intorno, lasciando libera una sottile striscia di pavimento che girava attorno al piano cottura e conduceva fuori dalla stanza, come una sorta di corridoio dalle pareti polverose. Se qualcuno avesse chiesto a Clara che cosa ci fosse in quegli scatoloni, lei non avrebbe saputo che cosa rispondere. Forse avrebbe detto che probabilmente vi era qualcosa di importante , che un tempo aveva ritenuto utile conservare, e che, pertanto, avrebbe continuato a custodire, anche senza avere ora il minimo ricordo di cosa fosse contenuto in molte di quelle scatole. Alcune di essere erano ormai marce e tane perfette per topi e scarafaggi. Clara conviveva da anni con quegli inquilini e pensava di aver raggiunto un buon equilibrio perché a quanto pare riuscivano a non darsi fastidio a vicenda. Lasciava che loro vivessero dentro la sua cucina, nel fondo di quelle scatole, a patto di non vederli in giro , e a tal proposito, per evitare che se ne andassero troppo a spasso per tutto l'appartamento, lasciava loro avanzi di cibo in terra, vicino alle loro tane. La Clara di un tempo non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a vivere così, un giorno.
    Ma, ormai, quella Clara non esisteva più. Era sepolta sotto la coltre di polvere che adornava la piccola casetta, assieme alle fitte ragnatele che penzolavano dal soffitto. Sulle pareti grigiastre, il tempo aveva lasciato una patina unta, che ora aveva inghiottito anche le poche foto rimaste appese, in mostra nella loro , un tempo, bella cornice. I pochi ricordi ancora vivi della Clara che fù, della vita che aveva vissuto. Ma l'aveva davvero vissuta? A volte, poteva starsene ore davanti quelle immagini sbiadite senza davvero ricordare i momenti vissuti che erano ora incorniciati dinnanzi ai suoi occhi malati. Quasi come se qualcuno avesse appeso in casa sua, le immagini della vita di un'altra donna.
    Clara la guardava nel suo vestito rosso, scendere delle scale festose di un albergo romano di lusso, la scrutava nella sua gioventù, immortalata in un primo piano, dove sfoggiava un tiepido sorriso verso il Fotografo che aveva a lungo amato, in segreto. Quella donna era davvero stata lei? Aveva davvero vissuto una vita diversa, un tempo?
    Clara passò le dita callose sulla cornice più grande, rivelando il legno scuro sotto la polvere. Un uomo giovane le sorrideva da dietro il vetro, immobile, eternamente bello e felice, intrappolato in quell'immagine nel fiore dei suoi anni, accogliendone lo sguardo che lei gli rivolgeva ogni giorno, con la stessa gioia negli occhi, le stesse fossette nelle guance lisce e candide.
    Clara si portò la mano alle labbra e la baciò, poi si voltò e s'incamminò lungo le scale, salendo pigramente un gradino per volta e producendo cigolii ad ogni passo, attutiti dalla moquette impregnata di polvere e sudicio.
    Se qualcuno vi fosse salito con passo più veloce e pesante, avrebbe di sicuro sollevato un polverone.
    Il piano di sopra non si presentava molto meglio rispetto al pian terreno, ma a parte qualche pila di libri qua e là e mucchi di vecchi abiti sparsi sul pavimento, le stanze erano più sgombere del resto della casa. Il bagno era l'unica stanza libera e pulita di tutta la casa, perché se c'era una cosa a cui Clara non avrebbe mai e poi mai rinunciato, era l'igiene personale. Trascinandosi appresso le gambe dolenti, si apprestò a spogliarsi per farsi una doccia e lavare via la terra, che si era già rappresa, incrostandosi tra le pieghe della pelle e sotto le unghie.
    Quando ebbe finito, rimase gocciolante dinnanzi allo specchio, immobile davanti all’immagine del suo corpo nudo e grinzoso. Un tempo quella visione l’avrebbe rabbuiata; ricorda ancora quando scoprì sul suo corpo i primi segni del tempo. Ernesto non aveva voluto starla a sentire, le aveva ringhiato contro e aveva continuato ad ignorarla, e quando lei aveva cercato di catturare le sue attenzione di uomo, lui l’aveva rifiutata senza ritegno, con la scusante che era stufo del suo umore altalenante e della sua superficialità. Certo, non aveva applicato lo stesso ragionamento quando aveva deciso di portarsi a letto quella sciacquetta della sua segretaria. Un classico. Clara si sentiva indignata, umiliata pubblicamente, quanto nell’intimità della sua casa. Pensava che l’amore che provava per quell’uomo, dopo quello che provava per se stessa, era quello che contava di più, ma in realtà, solo il tempo riuscì ad aprirle gli occhi, quando capì che non amava quell’uomo di per sé, piuttosto amava la sua capacità di riproduzione e quando lui le ebbe regalato il suo primo e unico figlio, non poté che promettere a se stessa, di essergli grata, anche a vita, se fosse stato necessario. Probabilmente, l’essergli fedele era uno degli obblighi che questa promessa comportava. Clara combatté costantemente verso gli impulsi che sentiva verso gli altri uomini che frequentavano la loro casa, e contrastò con fermezza le loro attenzioni, lasciando però che il marito si desse alla pazza gioia, con donnine di poco conto, che Clara spesso si domandava a chiedersi cosa avessero più di lei, in fondo, oltre al fatto di essere stupide e disinibite a letto, peculiarità in comune di tutte le amanti del marito, che si susseguirono negli anni, dentro e fuori casa loro, almeno fino a quando Alberto non fu abbastanza grande da iniziare a fare domande inopportune ai genitori. Fu solo allora che Clara chiese la cortesia al marito di incontrare le sua amanti altrove.
    Nei primi anni di vita di Alberto, Clara si scoprì una madre amorevole e affettuosa, capace di provare un amore più grande di quello che, fino a poco tempo prima, aveva nutrito solo per se stessa. Molti registi le fecero il filo in quel periodo, offrendole parti interessanti, dietro compensi smisurati, ma nessuna tentazione fu così forte da riuscire ad allontanarla da suo figlio. Ora era lui il suo copione quotidiano, quel suo ruolo di madre era probabilmente la sua interpretazione più importante. Niente avrebbe potuto farla sentire più appagata, più felice, più viva.
    Un brivido lungo la schiena la fece trasalire da quei pensieri. Si asciugò e si vestì rapidamente, per quello che le fosse possibile, tra acciacchi vari e l’artrosi avanzata. Le ginocchia le dolevano ancora ed erano ora cerchiate da due segni bluastri. Il sole stava tramontando in quel momento, ritirandosi pigramente dietro le colline erbose che Clara poteva scrutare dalla finestra del corridoio al piano di sopra. Spesso se ne stava ore davanti quella idilliaca visione e si chiedeva se non bastasse solo questo per essere grata di essere ancora viva. Poter ancora ammirare il sole che tramontava e risorgeva, splendente e carico di energia, giorno dopo giorno, in una danza che sembrava infinita. Le travi del pavimento scricchiolarono sotto i suoi passi instabili. Si sentiva stanca, quella giornata era stata pesante e le aveva lasciato addosso un tanfo di terra bagnata mista ad amarezza. L’alba di un nuovo giorno presto avrebbe bussato ancora una volta alle porte di casa sua, forse. Quella flebile incertezza sembrava renderla felice, quando giungeva la sera e arrivavano le ombre, che in un attimo avrebbero potuto avvolgere il suo corpo inerme per l’eternità, lasciando che la sua presenza nel mondo svanisse con la stessa grazia di come si era presentata, nel silenzio di quelle mura.
    Clara non desiderava morire, ma le avrebbe fatto di certo piacere se la sua vita fosse giunta al termine e se il giorno dopo avesse avuto la fortuna di non risvegliarsi. Spesso si perdeva a fantasticare di come sarebbe stato. Non morire, quello sperava di non aver il tempo di rendersene nemmeno conto, quanto piuttosto il dopo.
    Dove sarebbe andata a finire? Cosa ne sarebbe stata della sua stessa essenza? Avrebbe continuato ad avere una sua identità o avrebbe fatto parte di un tutto? Non che lei credesse in Dio, sia chiaro, ma in cuor suo, sperava vi fosse una sorta di paradiso, dove poter ritrovare se stessa, e riabbracciare Alberto.
    Ancora ricorda quelle piccole ditine paffute che le stringevano il pollice, l’attimo in cui si sono trovati l’uno nello sguardo nell’altra, quando gli ingranaggi di tutta la sua vita si bloccarono per un istante, riprendendo a girare scanditi solo dall’amore che provavano l’una per l’altro. Clara non pensava che al mondo potesse esistere niente di più meraviglioso, di più perfetto, oltre quelle lunghe ciglia castane e quegli occhi azzurri, grandi e limpidi che la guardavano con sincera devozione.
    Era stato così per tutta la vita. Anche nei momenti peggiori, quando lui le si era rivolto male, Clara poteva ancora leggere nei suoi sguardi e intravedere le scuse che lui le avrebbe rivolto a parole, solo giorni dopo.
    Non aveva mai potuto provare rancore per quella sua creazione perfetta. Neanche quando lui le aveva portato in casa donnine coetanee che in tutto e per tutto le ricordavano tanto le amanti del marito. Tanto sapeva ancor prima, che quelle storie sarebbero state passeggere, amori adolescenziali che si sarebbero susseguiti nel tempo, senza mai divenire nulla di più che timide prime esperienze che mai glielo avrebbero strappato dalle braccia, o almeno così sperava di nascosto, riscoprendosi egoista e possessiva, quasi ossessionata dalla paura che un giorno le cose sarebbero potute cambiare.
    E, in effetti, così fu.
    Quando lui le presentò Alice, lei non poté fare a meno di provare un brivido lungo la schiena, nel momento stesso in cui l’accolse nel salotto di casa propria, e quando colse un rapido sguardo tra di loro, capì che lui non avrebbe guardato nessun’altra allo stesso modo, con la bramosia e il desiderio di dedicarsi completamente a lei, col corpo e con lo spirito, per sempre.
    In quello stesso istante percepì se stessa come un’intrusa che si affaccia nella vita di altre persone, osservandole e spiandole da una finestra lontana, con la consapevolezza di non poter fare parte di quel quadretto che, semplicemente, la esclude ed infiamma la sua gelosia. Solo col senno di poi aveva amaramente constatato che aveva perso il figlio una prima volta, già allora.
    Se Clara avesse dovuto descrivere l’essenza dei suoi ricordi, avrebbe detto che erano come lame appuntite che le trafiggevano il cuore ripetutamente ad ogni singhiozzo. Una singola lacrima le rigò la guancia rugosa, svanendo rapidamente, come assorbita dalle piaghe della pelle. Clara ebbe un brivido e cerco di scacciare il freddo che provava nelle ossa, avvolgendosi con la coperta di lana, fin sopra la testa, mentre seduta sulla poltrona, ammirava la luna levarsi al cielo, lucente e perfetta, come la regina della notte, facendosi largo tra i puntini dorati che brillavano danzanti, decorando la volta celeste, in un’armonia divina.
    Non si rese conto di quando si fosse addormentata o di quanto tempo fosse passato, ma quando si svegliò, non ebbe bisogno di guardare fuori dalla finestra per appurare che aveva trascorso l’intera notte lì, sulla poltrona, nascosta tra le pieghe della coperta, dal sole e dalla vita. Le sue ossa doloranti furono ancora una volta testimoni della vecchiaia che avanzava inesorabile, consumandola dentro e fuori e non permettendole più il lusso di dormire in posti diversi dal materasso ortopedico. Sgranchendosi con un lamento involontario, si portò malamente nella cucina, al pianterreno, dove, facendosi largo tra i soliti vecchi scatoloni, cercò di mettere qualcosa sotto i denti, come fosse un obbligo nei confronti del suo vecchio corpo. Del resto, la sera prima non aveva nemmeno ingurgitato niente e ciò nonostante, ancora non avvertiva i morsi della fame. Si chiese se non fosse già morta e non lo sapesse. In quel caso, sarebbe stato davvero poco piacevole se tutto fosse rimasto uguale a prima.
    In pochi minuti si accomodò sullo sgabello malandato al bancone della cucina, sotto gli occhi un piatto scheggiato con due toast fumanti e un uovo al tegamino. Una visione alquanto deprimente per iniziare la giornata. Diede giusto un paio di morsi al toast ma si rifiutò di affondare la forchetta nell’uovo anemico. Qualche minuto più tardi, rinnovata da una nuova energia, affondava i vecchi stivali consunti nella terra del suo orto, ancora umida dopo la notte appena scivolata oltre le colline. Una bianca coltre nebbiosa avvolgeva l’intera casetta, come a volerla schermare dal mondo esterno, come se tutto ciò di cui Clara avesse bisogno in quel momento, si trovasse all’interno di quell’umido cerchio d’acqua. Per un istante, si sentì a casa come mai prima, così isolata dal resto della città, riuscì a percepire se stessa, all’interno di quelle mura d’acqua, come se qualcosa fosse scesa dal cielo a proteggere il suo piccolo mondo dagli sguardi altrui.
    E in effetti, Clara pensò, che era tutto lì. Tutto il suo mondo si trovava ai suoi piedi, racchiuso da una fragile recinzione di legno che anche un vento di tramontana avrebbe fatto facilmente traballare.
    Negli ultimi anni, quella terra pastosa e fertile quanto bastava, era stata la sua unica quotidianità, il suo unico capriccio. L’unica cosa che probabilmente la teneva in vita, fisicamente e mentalmente. A quella terra aveva dedicato tutta se stessa, proprio come una madre. Era qualcosa di cui si sentiva profondamente responsabile, a cui doveva badare, che poteva sentire e vedere crescere grazie alle amorevoli cure delle sue mani. Un altro suo frutto che stavolta avrebbe fatto in modo di non perdere, mai. Era diventata la sua ossessione, quella terra. A volte si alzava nel pieno della notte per controllarla dalla finestra del corridoio del piano di sopra. Aveva timore, terrore quasi, che qualcuno o qualcosa, avesse potuto intrufolarsi celato dalle tenebre e portarle via i frutti di tutto quel lavoro. Tremava come una foglia ad ogni tempesta, ad ogni nubifragio, dondolandosi sulla poltrona in camera da letto, mentre pregava che non le venisse portata via anche questa sua creazione. Piangeva, si disperava, come una folle. Clara lo sapeva. Sapeva che era folle la sua ossessione nei confronti di quel piccolo fazzoletto di terra. Avrebbe dovuto curarsene e prendersene cura per nutrirsi dei pochi frutti con cui esso la benediva quotidianamente. Ma un giorno, non ricorda precisamente quando, si accorse semplicemente che quella terra era tutto ciò che le restava al mondo e che aveva, sentiva, il dovere di prendersene cura con dedizione, finché ne avrebbe avuto la forza.
    Un umido raggio di sole si fece debolmente largo tra le pesanti nubi acquose, illuminandole il viso segnato dal tempo. Clara strizzò gli occhi e si guardò attorno, indecisa sul da farsi. Sui pochi ciuffetti d’erba selvatica, le gocce di rugiada risplendevano sotto la luce fioca. Tutt’intorno, la frutta che quei delinquenti le avevano tirato addosso il giorno prima, stava cominciando a marcire. Clara prese una vecchia cassetta e incominciò a raccoglierla, ne avrebbe ricavato altro compost per l’orticello, pensò, mentre china sulle ginocchia malconce, accatastava un’arancia sull’altra.
    Stava per ricominciare a piovere. Goccioloni solitari ma pesanti, iniziarono a scivolare giù dalla coltre di nuvole scure sopra la sua testa. Con tutta la fretta di cui era capace, liberò la frutta nel bidone scuro del compost e rimpastò un po’ il terreno con una vecchia vanga arrugginita, poi rincasò e attese che la pioggerellina si trasformasse nuovamente in temporale.
    Arrivarono fulmini e saette e nella piccola villetta all’angolo della strada, la luce azzurrina del cielo rabbioso, risplendeva nelle stanze polverose, rendendola spettrale. I boati dei tuoni rimbalzavano da una parete all’altra e a Clara parve quasi di vedere le fragili cornici ancora appese alle mura, vacillare e tremare sotto quei potenti rombi.
    Alberto la scrutava da dietro il vetro della sua cornice.
    L’atmosfera tetra del temporale e la luce violacea dei lampi, sembravano dare vita al suo sguardo, accendendolo di nuova vita. A Clara parve davvero che Alberto la stesse guardando dalla foto. Poté percepire, quasi fisicamente, il suo giovane sguardo trapassare le sue fragili ossa. Un brivido la fece vibrare, ma non era paura. Era gioia.
    <<sei qui..>>
    <<si. Sono qui, accanto a te, dove mi hai sempre voluto. Non sono mai andato via.>>
    Col volto rigato dalle lacrime, Clara si sentì sopraffare da un insieme di emozioni. Avvolta nella coperta di lana pesante, si agitava nel sonno, sulla vecchia poltrona, che sobbalzava e cigolava sotto ogni suo singhiozzo.

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